Una presenza fattiva dei laici al Sinodo
DI MASSIMO GNEZDA
Ha destato sorpresa l’annuncio della prossima Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi che si svolgerà in ottobre, in quanto composta anche da una settantina (su 370 votanti e oltre 400 partecipanti) fra sacerdoti, religiosi e laici nominati direttamente dal Papa.
Indubbiamente un cambiamento di non poco conto, ma in linea con quanto disposto dal motu proprio di S. Paolo VI Apostolica sollicitudo, che prevede che il Sinodo dei Vescovi, preposto a consigliare il Papa, “come ogni istituzione umana, con il passare del tempo possa essere maggiormente perfezionato”.
Peraltro questo allargamento a una componente di “non-vescovi” e di laici sta nell’ordine delle cose (conseguenti alla costituzione apostolica Episcopalis communio di Papa Francesco), tenuto conto dei lavori preparatori che si sono svolti negli ultimi due anni nelle Assemblee continentali (sette aree geografiche), in cui la componente laicale ha avuto sempre una rappresentanza adeguata.
L’Instrumentum Laboris che sarà alla base dei lavori per l’Assemblea di ottobre è il frutto di un’esperienza basata sulla dignità battesimale – come ci ha spiegato p. Giacomo Costa S.I., consultore della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi, intervenuto durante il nostro ultimo Consiglio nazionale online – in cui tutti partecipanti, adottando il metodo della conversazione spirituale, hanno saputo intervenire, superando resistenze e formalità, e hanno saputo ascoltare e farsi ascoltare. In questa cornice di un discernimento comunitario, come mai prima era stato fatto, tutti si sono sentiti nella libertà di dire quello che non va, di affrontare anche le divergenze, mantenendo uno spirito unitario, e di rendersi propositivi per una concreta pastorale del quotidiano. In questo senso si sono poste le condizioni perché ogni vescovo possa essere per la sua diocesi soprattutto un “facilitatore di processi”.
La strada che porta al Sinodo, dunque, si sta rivelando innovativa nel metodo, con il superamento di modalità a volte formali e paludate che spesso, in altri consessi, portavano alla stesura di documenti non sempre destinati ad avere ricadute efficaci. La conversazione spirituale consente di essere Chiesa, Popolo di Dio secondo una dinamica circolare piuttosto che piramidale, coerentemente al magistero conciliare.
Questo stile non è nuovo nella storia recente della Chiesa
Durante lo stesso Concilio Vaticano II, sempre per volontà di S. Paolo VI, non mancarono le presenze di laici uditori: ricordo in particolare una coppia di sposi messicani. Nel suo bel libro Madri del Concilio, Adriana Valerio racconta che Luz Maria Longoria Gama, assieme al marito José Alvarez Icaza Manero, partecipò alla Commissione sul matrimonio e la famiglia. La sua presenza non fu irrilevante.
A uno schema che elencava tra i fini principali del matrimonio, secondo una dottrina consolidata, il “rimedio alla concupiscenza”, la signora Luz Maria, “trovando che i concetti sopra espressi fossero fuori dalla realtà umana e coniugale”, affermò:
“Con tutto il rispetto, vi dico signori padri conciliari che le vostre madri vi concepirono senza questo timore della concupiscenza […] Io personalmente ho avuto molti figli senza alcuna concupiscenza: essi sono tutti frutto dell’amore”.
Da questa testimonianza il “rimedio alla concupiscenza” sparì dai documenti, aprendo a una rinnovata interpretazione del sacramento del matrimonio (Gaudium et Spes).
“Così, per la prima volta nella Chiesa – osserva ancora l’autrice – l’opinione diretta di una madre di famiglia fu tenuta in conto nei testi conciliari”.
Confido che i laici, uomini e donne, presenti al Sinodo possano essere a loro volta fattivi interpreti delle cose nuove che caratterizzano il nostro tempo e voce autentica della Chiesa nel mondo, sempre capace di rinnovarsi.