24 Novembre 2024
Cristiani nel mondoRiflessioni sul Vangelo

Quinta domenica di Quaresima 2020: spunti dal vangelo sulla Resurrezione di Lazzaro

Alcuni spunti, a più voci, relativi al Vangelo della V domenica di Quaresima (anno A) relativo alla Resurrezione di Lazzaro

Il cammino battesimale attraversa la Quaresima fino alla Pasqua, nella cui notte infatti tradizionalmente si celebravano i battesimi e ancora oggi si è ripreso a farlo, soprattutto nel caso del battesimo di adulti.

Battesimo = immersione. Nella morte per la Vita.

Cammino verso la Pasqua, cioè verso la Vita.
È necessario allora fare i conti con la morte.

Il punto di partenza è infatti che Lazzaro è malato. Viene ribadito cinque volte nei primi sei versetti. Noi siamo inguaribilmente malati.

Il secondo elemento alla base del racconto è l’amore. La prima sorella, Maria, è identificata come colei che aveva cosparso (cospargerà) di profumo il Signore (NB: il Signore, non semplicemente Gesù, e soprattutto la sua persona, non i piedi soltanto!) e gli aveva asciugato (asciugherà) i piedi con i suoi capelli.

E le sorelle Maria e Marta definiscono il fratello nel messaggio che mandano a Gesù:
“colui che tu ami”(3). E il testo continuerà dicendo, in tutto il v. 5: “Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro”. Gesù stesso dirà :” Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato”. E al v. 26, questa volta sula bocca dei Giudei: “Dissero allora i Giudei: Guarda come lo amava!”.

Ma l’amore non sta soltanto nella dimensione affettiva che lega Gesù ai tre fratelli di Betania

S. Ignazio dice che l’amore consiste più nelle opere che nelle parole. E possiamo dire più che nei sentimenti. Di fatto qui il punto è nella decisione di Gesù di andare in Giudea (7).

Di fronte a essa “I discepoli gli dissero: Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. E di fronte alla determinazione di Gesù “Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: Andiamo anche noi a morire con lui!” (16). Di fatto non si tratta di paure senza fondamento.

Il capitolo finirà con la riunione del Sinedrio che affermerà: “Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione“. Per cui “Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo” (53).

La morte di Gesù sarà il prezzo della vita di Lazzaro

È l’amore 1) fino alla fine, 2) che non chiede nulla in cambio, 3) verso tutti (come si era già dimostrato in precedenza), 4) che dona la libertà radicale (“Liberatelo” – 44) ciò che dà la vita, e non tanto l’esercizio della capacità di far risorgere un morto.

Di quell’amore sarà vissuto Lazzaro. E le sorelle e coloro che crederanno in lui. È di amore che si vive (“Chi non ama rimane nella morte” 1 Gv 3, 14), non di gesti prodigiosi anche a nostro favore.

In questi giorni in cui viviamo ‘imprigionati’, al punto che anche l’amore può apparirci imprigionato (vorremmo aiutare, dare una mano, visitare… ma non ci è possibile), siamo chiamati dal Signore a dare spazio al cuore, perché si allarghi e colga tutte le possibilità di esercitare quell’amore che nessun virus può imprigionare completamente, perché “né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8, 38 s).

“Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (25). Né morte, né vita. Nulla potrà mai separarci definitivamente dall’amore di Dio, né tra di noi, gli uni dagli altri, amati da Lui.

[Padre Gian Giacomo Rotelli SI]

«Quando il tempo si ferma, che cosa resta?
Quello che hanno fatto per noi.»

Nancy Borowick

«Credo che ciò che diventiamo dipende da quello che i nostri padri ci insegnano in momenti strani, quando in realtà non stanno cercando di insegnarci. Noi siamo formati da questi piccoli frammenti di saggezza.»

Umberto Eco

Nessuno parla facilmente di morte, neanche in questi giorni di pandemia…

Eppure Gesù si commuove per la morte dell’amico Lazzaro e attraversa l’angoscia della perdita per abbandonarsi alla vita. Nella semplicità della nostra quotidianità Gesù domanda a noi, come a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”

Ogni giorno faccio le mie scelte e Dio solo sa che peso hanno per me in questi giorni

Scegliere se uscire di casa e andare a lavoro, in qualità di assistente sociosanitario domiciliare, a discrezione delle parti competenti, i servizi sociali del municipio di zona, la cooperativa sociale, l’utente e la famiglia che usufruiscono del servizio di assistenza domiciliare. “Attieniti alle tue mansioni, non strafare come al solito, utilizza i DPI, i dispositivi di protezione individuale…”

Qual è il mio stile? Cammino alla sequela del Signore?
Faccio la volontà di Dio?

L’altro giorno la mia assistita, una signora anziana immunodepressa, mi ha invitato come al solito a prendere insieme il caffè tra una faccenda e l’altra. Io ho gentilmente declinato l’invito. “Grazie, ma non posso. Come se l’avessi preso.”

Mi viene in mente la comunione spirituale nel rito della Santa Messa nei giorni di Covid-19. E ancora la risposta di donna Marta: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”.

Dammi il tuo aiuto, Signore, perché non sia avventato. Dammi il tuo amore e la tua grazia, che questa mi basta. Fammi seguire il cammino di Sant’Ignazio. Amen

[Maria Sardone CVX San Saba]

L’aspetto che mi colpisce di più dell’episodio della resurrezione di Lazzaro è l’amore che Gesù provava per Lazzaro

Per poter stare vicino a lui nella malattia, rischia il ritorno in Giudea, da cui si era appena allontanato, perché là avevano tentato di lapidarlo. Poi si dice che, vedendo la sorella piangere per la morte del fratello, Gesù si commosse e scoppiò in pianto.

La risurrezione di Lazzaro mi appare come manifestazione dell’amore divino, che di riflesso è anche amore umano e non come una generica potenza divina capace di compiere fatti straordinari.

Penso di aver imparato nel corso degli anni a vivere l’evento della perdita di una persona cara in maniera più consapevole, comprendendo che si può continuare a essere in relazione con una persona, a volerle bene, anche dopo la fine dell’esistenza terrena di questa.

Nell’elaborare un lutto, penso che sia essenziale percepire la dimensione della comunità, per cui la persona che è morta viene riconosciuta come membro di una comunità, di una rete di relazioni, e gli altri membri della comunità si impegnano a mantenere la relazione con lui.

Il rito funebre, se inteso nel modo giusto, come assemblea delle persone che volevano bene alla persona morta, dovrebbe aiutarci a vivere questa dimensione

Mi viene in mente l’idea di compresenza dei morti e dei vivi del filosofo Aldo Capitini (l’ideatore della marcia della pace Perugia Assisi):

“i morti… non scompaiono; restano uniti a noi intimamente, e noi non possiamo dire di loro altro che questo: che sono uniti a noi come tutti, che essi operano uniti a noi in ciò che di bene e di bello realizziamo, e che crescendo sempre più questa unità di tutti, compresenza di tutti, realtà di tutti, sempre più la realtà attuale cede, si trasforma, si realizza secondo unità di amore e non secondo potenza (come ora), e perciò noi vedremo sempre meglio il rapporto con tutti, vivi e morti, tutti, nessuno finito.
La morte può finire: non c’è nessuna ragione per escludere la fine della morte, e il formarsi di una realtà diversa, che non dia più la morte. A questa apertura a una realtà liberata dalla morte noi ci prepariamo quanto più evitiamo di dare la morte (anche con il solo pensiero); perché che ragione avremo di accusare la realtà di dare la morte, se la diamo noi? E se la realtà ci imitasse e aspettasse da noi l’iniziativa?”

(Lettera di religione n° 23, 13 dicembre 1953)

In questi giorni, con la pandemia del Coronavirus, sperimentiamo, o almeno la sperimentano le persone direttamente coinvolte, la realtà di una doppia morte

Tale doppia morte è dovuta alla disgregazione sociale che inevitabilmente la situazione attuale comporta, per cui capita che non è possibile essere vicini ai propri cari nel momento del loro trapasso, non è possibile elaborare il lutto attraverso i riti previsti.

Viene messa alla prova la capacità di essere vicini alle persone con l’animo, pur essendo lontani nello spazio, non potendoli vedere e toccare, che del resto è l’unica relazione possibile con le persone che hanno già completato questa esistenza terrena.

Per la verità doppie morti di questo tipo sono sempre esistite, indipendentemente dal Covid-19, e sempre esisteranno. Purtroppo ci sono sempre state e ci saranno persone che muoiono completamente sole.

La fede ci porta a dire che la vicinanza di Dio non manca mai per ogni uomo

Da pochi giorni ho finito di leggere il libro “L’origine delle cose” dell’etnologo Julius Ernst Lips. L’ultimo capitolo è dedicato alle credenze sull’aldilà e sui riti funebri delle popolazioni primitive. Mi ha colpito l’ultima frase del libro:

“Quanto all’attitudine generale dell’uomo moderno verso il fenomeno della morte, questo ci coglie impreparati tanto quanto la vittima di una stregoneria che muore nella giungla. Se noi siamo felici o infelici nella consapevolezza che ‘anche questo dovrà passare’, ciò è determinato dal grado di sostanza della nostra anima, che noi possiamo possedere o non possedere. Qualunque cosa noi crediamo, è sicuro che, usando le parole di un antico libro tibetano: «da una stanza vuota non esce nient’altro che vuoto» e che solo coloro che credono sono felici.
La forma delle nostre credenze non è di così grande importanza, fintantoché queste sono messe in pratica con integrità e convinzione. Sia che immaginiamo l’aldilà come una forma di immortalità individuale o come una dissoluzione in una più grande entità spirituale, sia che ci aspettiamo di volare verso il sole sulle ali di un uccello o sperare di essere senza preoccupazioni e innocenti come i giunchi, il nostro trapasso sarà pacifico se le nostre vite saranno state dirette dall’unica impenetrabile sorgente che sola conosce il significato della sofferenza e della benedizione, della vita e della morte, e l’origine di tutte le cose.”

[Francesco Giordani CVX San Saba]

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