Se Eduardo ci potesse ancora parlare…
Il monito di “Napoli milionaria” al tempo del Covid
di Antonio M. Cervo
Era una grigia giornata del 1942. Una delle tante vissute a Napoli in tempo di guerra. Dove lo scopo vitale è sopravvivere giorno per giorno fra ricoveri improvvisati e la fame che morde.
Un giorno il ragionier Spasiano bussa alla porta del basso di donna Amalia. I figli hanno fame e la speranza è che donna Amalia non infierisca ancora una volta, umiliando un onest’uomo a cui è rimasta solo la sua dignità.
Ma niente da fare. La “borsa nera” non conosce scrupoli. Perché così va nei tempi di crisi: la paura accomuna tutti, fino a intrecciarsi con l’avidità del “mors tua, vita mea”.
Trascorre qualche anno. Ormai è passata un po’ d’acqua sotto i ponti e in quella stessa Napoli, piegata dalla guerra, adesso si vuole voltar pagina. La guerra ha impoverito molte famiglie, pur arricchendone altre, come quella di donna Amalia, abili ad aver lucrato sulla fragilità degli altri.
Eppure una notte, nel suo basso, non si ride di gioia, ma ci si aggrappa alle preghiere: la figlia più piccola giace a letto, in fin di vita.
Momenti in cui anche il cuore più tenace può crollare, mentre la disperazione spegne di ora in ora la speranza di trovare l’unica medicina in grado di salvare la bambina.
Ma ecco che, sulla fine del III atto di “Napoli Milionaria”, la porta in fondo al palco s’apre (stavolta non si bussa più!) ed entra il ragionier Spasiano. Ne è passato di tempo, ma adesso non ha le mani vuote come prima: custodisce gelosamente un flacone. “Lo vorrei consegnare alla signora Amalia” dice, scostando il medico.
Perché “Donna Ama’, mi avete spogliato… Con biglietti da 1.000 lire alla mano, ho dovuto chiedervi l’elemosina di un po’ di riso per i miei figli. Adesso si tratta di vostra figlia…….(…) Come vedete, chi prima chi dopo deve a un certo punto bussare alla porta dell’altro (…). Ho voluto (oggi) farvi capire che se, a un certo punto, non ci stendiamo una mano l’uno con l’altro…”. E lo sguardo cede il passo a ogni altra parola, lasciando in mano al dottore la medicina.
Da mesi ascoltiamo il paragone fra la pandemia e i “tempi della guerra”
Un paragone a cui ormai abbiamo fatto il callo.
Al di là della felicità o meno del confronto, è certo che questi momenti di crisi mettono a dura prova l’animo umano, accomunandoci tutti nelle paure e nei limiti.
Da fine conoscitore della natura dell’Uomo, Eduardo de Filippo stana le ombre più profonde dell’egoismo in cui la Persona può nascondersi nei periodi di crisi. Perché il timore di non farcela fa ritrarre dalla solidarietà, dal voler imboccare la “via dell’Altro”, in nome dell’etica del “si salvi chi può”.
Donna Amalia – che chiunque di noi depreca subito, sdegnato, nelle vesti di spettatore – non rappresenta solo una madre troppo ripiegata su stessa per guardare a chi le chiede aiuto. Ma diviene anche l’eterno rischio di chiunque: ciascuno – anche chi si crede immune – può essere “donna Amalia” in questi tempi, se non vigilia su stesso e sugli altri.
I giorni che stiamo vivendo, ormai da un anno, a causa del Covid hanno scoperchiato spesso un vaso di Pandora, dove l’umanità rischia di non dare sempre il meglio di sé, presa com’è fra l’istinto di auto-conservazione e la più terribile fra le giustificazioni (con cui assolviamo): la “necessità”.
A quest’etica dell’“Uomo vecchio”, che poi è quella di sempre, Eduardo contrappone la figura del ragionier Spasiano, “uomo inedito” che sa andare controcorrente. E lo sa fare in modo dirompente, mentre la maggioranza continua a restare ripiegata su stessa e a guardare con sospetto l’Altro.
Il tutto col tocco dell’imprevedibilità, il tratto a ben vedere più vero dell’“etica nuova”.
Così, la mano tesa arriva quando tutti meno se lo aspettano, abbattendo i muri del rancore e capovolgendo “copioni già scritti”
“E speriamo che donna Amalia abbia capito!”
Con queste parole Spasiano esce di scena. E con lui il monito di Eduardo a ciascuno spettatore: nel cuore umano la lotta fra le “donna Amalia” e i “ragionier Spasiano”, fra il ritrarre o il tendere la mano, fanno parte della vita di ogni giorno. Specie durante i momenti di guerra, specie durante le pandemie.
Qui, di fronte alle paure che chiudono alla solidarietà e alle relazioni, lo spettatore è chiamato ogni volta a discernere la sua scelta di vita: scegliere di vivere “facendo centro su se stessi, oppure mettendo il centro fuori di sé, nelle creature e nell’Altro” (Ernesto Balducci). Solo quest’ultima è la strada capace di rivoluzioni, solo quest’ultima è la strada che Eduardo indica allo spettatore. O forse un po’ a ciascuno di noi, in attesa che passi “a’ nuttat”…