24 Novembre 2024
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Intervista al giudice Fernando Asaro

Lo spartiacque della strage di Capaci, in vista del Convegno di Palermo

DI ALESSANDRA PERRICONE

Mentre i giorni della Settimana Santa si avvicinano, mi vengono in mente quelli di molti anni fa, quando fecero da cornice a un breve corso di Esercizi Spirituali tenuti da p. Nipitella S.I. nell’allora Casa dei Gesuiti di Bagheria, il cui grande giardino di limoni e mandarini ben richiamava la geografia mediterranea delle ultime ore terrene di Gesù. Eravamo in due, per motivi diversi non avevamo potuto unirci a gruppi o comunità e così decidemmo insieme di dedicare l’unico tempo per noi possibile all’ascolto interiore della Parola. E, nonostante la vita abbia reso molto più rade le frequentazioni, il marchio di quei giorni segna ancora la nostra amicizia.

Chi è Fernando Asaro

Giudice Fernando AsaroFernando Asaro, il mio compagno di quegli Esercizi, è oggi a capo della Procura della Repubblica di Marsala (TP) ed è a lui che ho pensato di chiedere una mano per descrivere la Palermo attraversata dal sacrificio del giudice Falcone, ucciso con la moglie e la scorta, lì dove ora si trova il monumento che ne ricorda la strage e dove noi ci recheremo in meditazione durante il Convegno.

Monumento in memoria della Strage di Capaci

A che punto eri del tuo percorso in Magistratura all’epoca della strage di Capaci?

Agli inizi. Fui, in effetti, tra i primi magistrati post-stragi. E uso il plurale perché nel 1992 non venne ucciso solo Falcone.

Giovanni Falcone e Paolo BorsellinoOltre a Borsellino, trucidato con la sua scorta soltanto qualche mese dopo, non dobbiamo dimenticare alcuni altri omicidi significativi, perché di persone considerate punti di riferimento (in politica e non solo) per la mafia. Allora, da studente curioso di un fenomeno di cui non si parlava né in famiglia né a scuola né sui giornali, andavo in motorino sui luoghi degli agguati, forte solo della mia fame di capire e del nutrimento che a quella fame davano i Gesuiti del Centro Arrupe, in particolare p. Sorge S.I., tra i pochi uomini di Chiesa a esporsi in quel periodo, prima cioè dell’appello di papa Giovanni Paolo II sulla spianata dei Templi di Agrigento e dell’uccisione di p. Pino Puglisi.

A proposito del discorso del Papa a cui ti riferisci, è vero che lo cambiò dopo un incontro particolare?

Sì, nel 1993 il Papa conobbe i genitori di Rosario Livatino, giovane giudice ammazzato dalla mafia tre anni prima, freddato vigliaccamente alle spalle mentre scappava fuori dalla sua auto modesta di semplice servitore dello Stato. Il lungo e silenzioso abbraccio con quel papà e quella mamma che non ostentavano il dolore, se non con lacrime più che eloquenti, lo portò a dare al discorso che avrebbe fatto di lì a poco uno slancio diverso. Il suo grido “Convertitevi!” è tra le frasi di un poster che mi ha sempre accompagnato nei miei spostamenti di lavoro e che ho tuttora nel mio ufficio. E per me quel silenzio carico di dolore resta uno straordinario esempio di Antimafia che ancora mi commuove.

Capaci, Palermo, 23 maggio 1992

Poi c’è stata l’Antimafia di Maria Falcone, sorella del giudice, ma anche dei giornalisti, delle navi di studenti da tutta Italia.

Sì, una forma senz’altro di maggiore visibilità che, proprio per questo, ha consentito il risveglio delle coscienze, producendo la presa di distanza dal fenomeno mafioso ormai percepita come necessaria dalla popolazione. I giornali e la Tv, attraverso tanti giornalisti in prima linea, raccontavano ora gli eventi di mafia fornendo strumenti di conoscenza inequivocabili. In questo senso, si può dire che c’è un prima e un dopo quel 23 maggio del 1992, data dell’uccisione di Falcone, senza dimenticare il 19 luglio dello stesso anno, quando morì per mano mafiosa anche il suo compagno del Pool, Paolo Borsellino.

Quindi stai dicendo che la strage di Capaci segna una sorta di spartiacque?

Decisamente. Lo dicono i tanti quartieri della città dove il seme è stato generato, lo dice la rivoluzione delle scolaresche che approdano a Palermo dal resto d’Italia, e lo dicono forme diverse di movimentazione delle coscienze. E se è vero che va tenuta alta la guardia rispetto al rischio di diventare, come disse Leonardo Sciascia, “professionisti dell’Antimafia”, resta comunque un dato: lo Stato, nelle sue istituzioni e con l’acquisizione da parte della gente di una nuova coscienza, è cambiato e di fatto quella mafia violenta e becera non c’è più.

Espressione di quella violenza forse ancora più rappresentativa della strage di Capaci è stato il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo…

Quello ha sancito il danno d’immagine della mafia cominciato anche prima di Falcone, con gli omicidi di Dalla Chiesa e Chinnici, per citarne solo alcuni. Io ne parlo spesso nelle scuole, anzi invito gli studenti a non ascoltare tanto me quanto a venire insieme a me nel paese poco fuori Palermo dove questo ragazzo è stato tenuto chiuso in un bunker senza luce per essere poi lì strangolato e sciolto nell’acido, dopo aver subito innumerevoli spostamenti in giro per la Sicilia nascosto nel cofano di un’auto, per due anni e mezzo.

“Venite e vedete”.

È questo il senso di un giardino della memoria come quello che oggi ospita il monumento ai giudici Falcone e Morvillo e alla loro scorta?

Certamente non si tratta di un museo, ma di un luogo dove rinnovare la nostra comprensione del fenomeno mafioso e ritrovare le forze per continuare nello slancio generato da quegli eventi. È un luogo dove andare in pellegrinaggio a cercare una sempre maggiore consapevolezza di questa nostra storia. La data del 23 maggio 1992 rappresenta il culmine di una guerra che, almeno dal 1979, insanguinava la Sicilia con omicidi più o meno eccellenti, non di eroi, ma di persone che facevano solo il proprio dovere, e dunque bisogna continuare a citarla come l’inizio di un “dopo”. Lo stesso Falcone, peraltro, diceva della mafia che, come tutti i fenomeni umani, ha un inizio e “avrà anche una fine”.

Per chiudere questa nostra chiacchierata, ti riporto a quegli Esercizi fatti insieme a Bagheria, in particolare alla meditazione sul Venerdì Santo, quando il termine Passione ci venne presentato nella sua duplice accezione di sofferenza e trasporto per qualcuno o qualcosa che si ama. Ricordi?

Sì, e credo di avere negli anni interiorizzato che se la strage di Capaci può essere considerata il nostro Venerdì Santo, la Domenica di Pasqua – che da lì nasce – è la speranza che deve prevalere, proprio come in una visione di fede che si basi sul messaggio fondamentale della Resurrezione. Nel mio lavoro, per esempio, ho capito l’importanza del non perdere mai il sorriso, di non alimentare il senso del complotto, di non applicare meramente la legge secondo uno spirito da burocrate, ma di interpretarla alla luce di nuovi diritti e nuove tutele. Insomma, non di “fare” il magistrato ma di esserlo. Grazie anche a quanto il sacrificio di Falcone ha generato.

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