24 Novembre 2024
Cristiani nel mondo

Il monoteismo: un’esperienza religiosa più complessa di quanto si pensi

DI FRANCESCO RICCARDI

I nostri pellegrinaggi in Terra Santa ci offrono un’opportunità sempre profondamente suggestiva, quella di confrontarci con il monoteismo potendo osservare insieme le tre fedi abramitiche.
E ci stimolano a porci delle domande.

Il monoteismo e le tre fedi abramitiche

Che cosa le accomuna? Che cosa si intende con l’espressione monoteismo? Perché sono poco comprensibili le critiche di alcuni che non considerano l’esperienza cristiana schiettamente monoteista per via della dottrina trinitaria?

Proviamo a rifletterci su

Dato che le riflessioni sull’esperienza religiosa sono al massimo grado multidisciplinari, preciso che le osservazioni che seguono provengono dalla fenomenologia storico-comparata della religione (si insiste sull’uso del singolare a indicare che tra le singole particolari esperienze religiose esiste un rapporto di analogia).

L’Università Gregoriana di Roma vanta una notevole tradizione in materia: i compianti padri Giovanni Magnani S.I. (1929-2006) e Mariasusai Dhavamony S.I. (1925-2014) sono stati miei insegnanti e prima di loro personalità significative come Henri Pinard de la Boullaye S.I. (1874-1958) e Joseph Goetz S.I. (1909-1983) hanno dato lustro alla Compagnia.

Fenomenologia dell’esperienza religiosa

La fenomenologia ha come punto di partenza una specifica comprensione del concetto di esperienza religiosa e una peculiare intuizione in merito a questa esperienza.

La comprensione del concetto di esperienza religiosa (uso la parola “comprensione” – piuttosto che definizione – in quanto generalmente i fenomenologi esaminano il concetto di esperienza religiosa con il bagaglio culturale che va da Aristotele ad Husserl fino a Paul Ricoeur e non con i metodi dell’analisi logico-linguistica) è quella di un’esperienza di legame tra l’essere umano e la Realtà Ultima, pensata come portatrice di salvezza.

Monoteismo e uomo in preghiera
Foto di Ric Rodrigues (pexels.com)

Salvezza e “Realtà Ultima”

Occorre essere avvertiti che sia l’espressione Realtà Ultima sia l’espressione salvezza sono sempre da riguardare come espressioni analoghe, mai aventi significato univoco.

L’intuizione peculiare da cui la fenomenologia della religione prende le mosse è quella secondo cui la semplice descrizione di un’esperienza religiosa non consente di coglierne il nucleo, l’idea di fondo. Questa deve venire indagata attraverso successivi livelli di penetrazione che vengono detti morfologico, tipologico e strutturale.

Cosa avviene nel politeismo

Ad esempio, nel caso del politeismo, la semplice descrizione di un particolare pantheon storico, i rapporti tra le singole figure, l’ambito esistenziale da ognuna presieduto non ci dice nulla circa il nucleo di fondo di questa esperienza, nucleo che invece risulterà all’indagine consistere nella credenza in un “fondo divino” soggiacente l’universo e da cui emergono particolari attributi rappresentati come personalità.

Veniamo al monoteismo

Questo nella sua forma storica esplicita, quella della tradizione abramitica, è definibile come credenza in un “solo Dio” (non un “Dio solo” come sarebbe definibile piuttosto la monolatria) collegata con la convinzione dell’impossibilità dell’esistenza di altri dei. Non è sufficiente la sola convinzione dell’inesistenza de facto di altri dei per qualificare un’esperienza come monoteista.

Questa definizione si attaglia molto bene alla tradizione abramitica, a iniziare dal periodo dell’esilio babilonese di Israele, in quanto l’epoca precedente – quella delle monarchie divise ed ancora più quella della monarchia unitaria – presenta un panorama più controverso.

Da Akhenaton e Zarathustra in avanti, monoteismo ante litteram

Non pochi studiosi ritengono di ravvisare l’esperienza monoteista anche al di fuori di questa tradizione. I casi più noti, e più discussi, sono rintracciabili nella riforma di Akhenaton (nome dinastico Amenhotep IV, Egitto 1375-1358 a.C.), nella concezione del dio Ahura Mazda di Zarathustra (Iran, periodo difficilmente databile tra il X ed il VII secolo a.C.) e in alcune forme presenti nel mare magnum della tradizione Hindu soprattutto nell’ambito del movimento che identifichiamo con l’espressione Bhakti (V-VII secolo d.C. India meridionale).
Quest’ultimo caso ha dato origine a una riflessione interna all’Università Gregoriana con p. Dhavamony S.I., propenso a ravvisarvi il monoteismo e p. Magnani S.I., meno disponibile in questo senso.

Questa riflessione, di cui ho avuto esperienza diretta, ha contribuito a esplicitare e ribadire i veri e propri marker fenomenologici del monoteismo, unici dati che ne consentono il riconoscimento.

Primo livello di approfondimento del monoteismo

Il monoteismo al primo livello di approfondimento, che i fenomenologi definiscono formale o morfologico e che appare ad una semplice lettura dei testi religiosi, già manifesta una chiarezza di pensiero. Dio, dal punto di vista dell’esistenza, è unico in quanto incomparabile e autore di creazione totale, la creatio “ex nihilo…”.

Le tre Scritture

Le Scritture dei tre monoteismi certi non indulgono nella riflessione filosofica su questi passaggi. Questa sarà frutto dei secoli successivi, soprattutto con l’idea che l’unicità divina – in termini di esistenza – è da collegare con l’unità e indivisibilità divina, in termini di essenza. Però l’intuizione e già chiaramente presente.

Tradizione ebraica

La tradizione ebraica mostra questi elementi formali in modo inequivocabile ed esteso negli scritti del Deuteroisaia (i capitoli dal 40 al 55 del libro di Isaia, databili tra il 547 e il 539 a.C., che comprendono la prima vera affermazione del monoteismo, vedi 45, 1.4-7). Nel Nuovo Testamento vengono riaffermati più volte: consideriamo ad esempio il bel dialogo di Gesù con lo scriba di Mc 12, 28-34, che inizia proprio con lo Shemà…

L’Islam

La tradizione islamica propone la propria professione di fede (Shahada…) esattamente con le parole “non esiste altro Dio all’infuori di Allah…” e diffusamente nel Corano ribadisce questa unicità e potenza creatrice (87,1 “Altissimo”; 37,4 e 41,6 unicità di Dio), nel Corano poi esiste addirittura una sura (112 “Culto esclusivo”) in cui sembra già esplicita la consapevolezza che l’unicità esistenziale deriva dall’unità essenziale.

Secondo livello di approfondimento

La ricerca fenomenologica raggiunge poi un secondo livello di profondità, quello detto delle note tipologiche. Nel caso del monoteismo, la nota tipologica che sarebbe alla radice dell’unità e unicità formali, è la caratteristica “onniperfezione” divina.

Questa espressione indica il fatto che nel linguaggio monoteista gli attributi divini non vengono considerati distinti, ma sempre convergenti e richiamantisi, mantenuti anche quando potrebbero apparire incompatibili (caso di scuola: la giustizia e la misericordia).

Gli scritti di Isaia

Gli scritti del Deuteroisaia, come già detto il primo autore certamente monoteista, utilizzano gli attributi di YHWH quali sinonimi inseparabili tra loro e da Lui stesso. Ad esempio Gloria (kebod) Is 42,8, Santo (qadosh) Is 40,25 e altri simili.

Non compaiono nel testo deuteroisaiano espressioni traducibili con il prefisso onni, perché il modo di esprimersi del tempo era lontano dalle astrazioni. Ma già alcuni secoli dopo, in ambito cristiano, Teofilo di Antiochia (morto attorno al 183 d.C.), oramai sotto l’influsso della filosofia greca, non ha difficoltà a usare il prefisso panto, proprio per intendere che Dio ricomprende e possiede ogni elemento come successivamente affermato dai concili.

Il Corano

La tradizione coranica riprende ed estende il linguaggio deuteroisaiano indicando continuamente Dio con attributi intercambiabili tra loro, anche quando apparentemente incompatibili. Scorrendo il testo per preparare queste note ne ho contati 23, dei 99 attribuiti dalla pietà popolare, tra cui “benefattore-misericordioso” (rahman-rahim) e “miglior giudice” (khayr al hakimim).

L’ultimo passo identificativo del monoteismo vero e proprio, la nota strutturale, è il riconoscimento nel pensiero e nel linguaggio dei monoteisti di un carattere di infinità positiva in Dio (i fenomenologi aggiungono la positività per rimarcare una distinzione rispetto al pensiero greco che vedrebbe nell’infinità un’imperfezione).

Il monoteismo e l’infinità divina

Detto così può sembrare qualcosa di sfumato, ma in realtà questa infinità, inconcepibilità di ogni limite in Dio è il vero tratto distintivo del monoteismo, quello da cui derivano le note precedenti (i motivi di dubbio circa il qualificare come monoteiste le esperienze religiose discusse cui ho accennato in precedenza consistono proprio nel fatto che le figure divine in esse appaiono affette da limiti cui in questa sede non è possibile accennare).

Leggendo gli scritti dei fenomenologi si riscontra una certa convergenza nell’ammettere un collegamento fondamentale tra l’idea monoteista di infinità positiva e la dottrina della creazione totale, specifica appunto del monoteismo.

Effettivamente la dottrina della creazione totale appare nei tre monoteismi abramitici a iniziare dal già citato Is 45, 1.4-7 del primo monoteista Deuteroisaia (è opportuno rammentare che testi biblici che nella trama narrativa appaiono precedenti, come i racconti della Genesi, sono stati in realtà composti successivamente) anche se è onesto ammettere che alcuni studiosi notano nell’Antico Testamento delle espressioni che non sembrano immuni da residui di concezioni precedenti (Sap 11,17 parla di materia primordiale ma potrebbe essere riferito a un momento successivo all’atto creativo).

Ebraismo e cristianesimo

Per giungere in ambito ebraico/cristiano alla chiara formula creatio ex nihilo sui et subiecti si dovranno attendere secoli successivi, con l’interessante elemento che sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) essersi affermata indipendentemente nel giudaismo del Secondo Tempio e nel cristianesimo.

Non viene spesso indagata dai fenomenologi l’idea di creazione nel Nuovo Testamento, semplicemente perché è pacificamente accettata. Gesù, in quanto giudeo del suo tempo, vive in questa fede chiara, non si contano le pericopi in cui compare la creazione totale da parte del Padre.

Per quanto riguarda il testo coranico occorre dire che – scorrendo i testi degli specialisti – si nota una certa varietà di posizioni. Alcuni addirittura ravviserebbero espressioni analoghe alla già detta creatio ex nihilo, mentre altri invece ritengono possibile la presenza di elementi antecedenti il monoteismo.

C’è un elemento comune?

Esiste però un elemento significativo esattamente come nel testo biblico, cioè i verbi collegati con l’attività creatrice di Allah sono riferibili a Lui solo. Non possono essere impiegati per nessun altro, proprio a indicare un’azione non comparabile (ad esempio fatara della Sura 6 medinese, che dà origine all’appellativo Fatir Creatore è l’esatto equivalente del biblico barà riferibile unicamente a YHWH).

Conclusioni

Vorrei concludere questo contributo ribadendo che gli elementi che contraddistinguono il monoteismo, come abbiamo visto velocemente, sono tutti presenti nella tradizione cristiana.

Si tratta di qualcosa di cui è bene essere consapevoli in quanto non è raro sentir dire che il cristianesimo è un politeismo mascherato per via della dottrina trinitaria, gli autori di queste affermazioni spesso non sanno né cosa sia il politeismo né cosa sia il monoteismo.

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